Chiusa l’inchiesta sul disastro ferroviario Andria-Trani: 19 indagati. Tra questi, anche il Direttore Generale del Ministero, accusato di non aver vigilato sulla sicurezza. 

Chiusa l’inchiesta sul disastro ferroviario Andria-Trani: 19 indagati.

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Coinvolto anche il Ministero dei Trasporti nell’inchiesta sull’incidente ferroviario che causò 23 morti e 50 feriti, il 12 luglio scorso, nella tratta pugliese Andria-Corato. Secondo i PM ci furono errori materiali dei capostazione e del capotreno, ma le responsabilità sono da ricercarsi anche a monte per mancati investimenti in sicurezza e vigilanza. Gravi quindi le accuse a Ferrotramviaria, che non avrebbe investito circa 600.000 euro per l’installazione di un sistema di sicurezza migliore: “Strategia aziendale finalizzata agli utili, non alla sicurezza”.

I capostazione Vito Piccarreta e Alessio Porcelli, ma anche i dirigenti di Ferrotramviaria, per aver nascosto 20 incidenti sfiorati negli ultimi quattro anni e non aver investito 665.000 euro per l’installazione del sistema minimo di sicurezza utile ad evitare che il 12 luglio 2016 i treni che percorrevano la tratta Andria-Corato si scontrassero provocando 23 morti e 50 feriti e poi due dirigenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti poiché non adottarono “provvedimenti urgenti” affinché la rete venisse adeguata, nonostante fossero a conoscenza dei rischi connessi alla gestione del traffico ferroviario col regime del blocco telefonico, in virtù di una relazione ministeriale di inchiesta su un simile scontro fra treni verificatosi in Sardegna (sulla linea Macomer-Nuoro) nel giugno 2007.

Sono loro ad avere responsabilità diretta o “a monte”  per l’incidente ferroviario in Puglia, secondo la procura di Trani che oggi ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Diciotto gli indagati, più Ferrotramviaria: 14 sono dipendenti, dirigenti e amministratori dell’azienda che gestisce il trasporto ferroviario Bari-Barletta, tra i quali il conte Enrico Maria Pasquini, sua sorella Gloria Pasquini, il direttore generale Massimo Nitti e il direttore di esercizio Michele Ronchi; 2 sono funzionari dell’Ustif, l’ente del ministero dei Trasporti che fino al settembre 2016 ha vigilato sulla sicurezza dei treni delle reti locali; e poi Virginio Di Giambattista ed Elena Molinaro: il primo a capo della struttura ministeriale che si occupa dei Sistemi di Trasporto ad Impianti Fissi e il Trasporto Pubblico Locale, la seconda alta dirigente del ministero guidato da Graziano Delrio.

E’ arrivata a Roma l’inchiesta coordinata dal procuratore Antonino Di Maio e affidata al pool di sostituti Michele Ruggiero, Alessandro Donato Pesce e Marcello Catalano, che contestano a vario titolo agli indagati i reati di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi colpose. I capistazione, il capotreno Nicola Lorizzo e il dirigente del movimento Francesco Pistolato – secondo i magistrati – sbagliarono materialmente: Piccarreta “concedeva alle ore 11 la via libera (…) con segnale di partenza al capotreno Lorizzo” senza capire che il binario era occupato da un altro treno e deve rispondere di falso perché avrebbe falsificato il registro della stazione nascondendo la mancata telefonata ad Andria. Pistolato, invece, secondo i magistrati quella mattina mise sui binari un treno supplementare partito prima del ‘principale’. Un errore che indusse Piccarreta a confondersi dando il via libera al convoglio proveniente da Andria convinto che quello partito da Corato fosse già passato.

Ma le indagini hanno riscontrato responsabilità anche a livello “superiore”. Ferrotramviaria avrebbe risparmiato oltre 650.000 euro non istallando il “blocco conta assi”, un sistema di sicurezza in grado di ridurre quasi a zero i rischi di un incidente come quello che coinvolse i due treni. Nel frattempo, tra l’altro, la concessionaria nel corso del 2016 ha avuto 4.7 milioni di utili e ne ha distribuiti 2.5 agli azionisti. Avrebbero insomma “attuato una strategia aziendale finalizzata ad accrescere gli utili” ma “non la sicurezza della circolazione”. Enrico Maria e Gloria Pasquini, Nitti e Ronchi – sempre stando alla ricostruzione dei PM – non avrebbero prevenuto l’incidente, ignorando le direttive sulla sicurezza del lavoro e avrebbero nascosto alla Digifema, la Direzione generale del ministero per le investigazioni ferroviarie e marittime, una catena di incidenti sfiorati (20, secondo l’ipotesi) tra il 2012 e il 2016. Inoltre, non dotarono la linea ferroviaria di una “copertura della rete di telefonia mobile” in maniera sufficiente causando “consequenziali difficoltà di comunicazione tra personale di terra e personale di bordo”. Il tutto nonostante anche il rapporto Pendolaria 2017 di Legambiente indichi la Bari-Barletta tra le dieci tratte ferroviarie peggiori in Italia.